La chiesa di S. Maria degli Angeli e l’annesso convento sono fatti erigere da S. Bernardino da Siena che, secondo quanto narra fra Amadio da Venezia nella biografia del Santo, giunse a Gardone nel 1442 per confortare con la sua eloquente e vigorosa parola le rudi genti locali. La predicazione che conseguì notevole successo, stimolò le genti a nuovo fervore religioso.
La richiesta d' opere caritatevoli, rivolta ai potenti del luogo, si concretizzò anche nella donazione al santo frate da parte dei nobili signori Giacomo e Bernardino Avogadro di un fondo prativo sito in Gardone e di proprietà del nobile casato. Il generoso atto fu stipulato con validità legale nella dimora della famiglia nella contrada di Prato Zucchello di Ponte Zanano il 20 aprile 1442. L’inizio della costruzione del complesso monastico, contrariamente a quanto per lungo tempo si è ritenuto, non fu immediata. La supposizione trova conferma nella Bolla promulgata nel 1469 con la quale il pontefice Paolo Barbo II autorizzava il Vicario generale della Diocesi di Milano a concedere ai frati francescani della Provincia bresciana alcuni conventi, fra i quali quello di Gardone, del quale il documento attesta sia da poco iniziata la costruzione. Ulteriore e radicale convalida all’ipotesi è data dal rinvenimento archivistico effettuato nel 1979 da Alfredo Soggetti che ci ha fatto conoscere un documento conservato nell’archivio comunale di Sarezzo, risalente al 1496 e che attesta un credito dovuto a Bernardino Martinengo espressamente nominato come costruttore della chiesa di S. Maria degli Angeli in Gardone V.T. Si ritiene dunque logico collocare tra il 1442 ed il 1467 l’edificazione della primitiva cappella dedicata al santo senese che sarà descritta negli atti della Visita di S. Carlo del 1580, come preesistente al complesso monastico.
Quella che oggi appare come l’abside della primitiva chiesetta conserva i resti di un esco dedicato alla Madonna degli A, culto particolarmente caro all’ordine minorita. La cappella primitiva è dunque evidente testimonianza d’una presenza francescana a Gardone antecedente all’erezione della chiesa e del convento. La convivenza dei francescani con la popolazione gardonese non sarà sempre pacifica, ma verrà segnata da pesanti controversie con gli Anabattisti locali che giungeranno fino ad incendiare le porte della chiesa ed i confessionali per contestare il ruolo che l’ordine andava via via assumendo nella Santa Inquisizione. Gli atti della Visita di S. Carlo ci trasmettono alcune importanti notizie sul complesso monastico. Apprendiamo che la chiesa ha come fonte di reddito le sole elemosine dei fedeli e si presenta con sei altari e con dei monumenti funebri. I religiosi sono cinque, di cui tre presbiteri e due laici. Il monastero, attiguo alla chiesa, ha due chiostri e davanti alla basilica esiste la primitiva cappella officiata solo nella ricorrenza del patrono. All’inizio del ‘600 il monastero ospita otto frati che il Da Lezze definisce Zoccolanti di San Giuseppe. Nel 1657 i frati sono ancora otto ( di cui cinque presbiteri) come risulta dagli atti che l’Avoltori stende come visitatore incaricato dal vescovo di Brescia cardinale Pietro Ottoboni.
Risale al 1684 il contrasto con i diritti di sepoltura tra l’ultimo rettore della parrocchiale di S. Marco, Giovanni Antoniolo, ed i francescani. Nel 1735 il prevosto Clemente Zanetti afferma che nel convento vivono in media dodici religiosi mentre il prevosto Baldassare Cattaneo in una sua relazione del 1756 ricorda che la famiglia francescana è composta di 15/16 religiosi. La caduta della Serenissima Repubblica è foriera di nefaste conseguenze per il convento gardonese. Marco Cominassi nelle sue carte ci ricorda che il 6 agosto 1798 i frati dovettero arsi anche a causa della Municipalità gardonese. Alberto da Desenzano, padre guardiano, ed un suo confratello un anno dopo restaurano il convento depredato dai rivoluzionari giacobini mentre la Valle presenta una supplica alle autorità competenti con la richiesta del ritorno dei frati che rivarcheranno le porte del loro convento il 2 agosto 1799. Dovranno però allontanarsene definitivamente nel luglio del 1803 ed il loro addio darà luogo ad un totale abbandono della struttura e ad un nefasto saccheggio artistico al quale sarà sottoposta la bella chiesa. Molte le opere depredate, tra le quali una pala e le tavole del celebre polittico del Moretto prenderanno la via di Brera e del parigino Louvre. Il complesso sarà destinato a casermaggio dei soldati sino al 1810 quando Gian Battista Pedretti e altri devoti provvederanno al restauro della chiesa. Nel 1837 nel tempio sarà installato un organo, opera del Marchesini, la cui collocazione distruggerà definitivamente i preziosi affreschi della parete destra dell’abside.
Nel 1842 il comune di Gardone, facendosi interprete delle istanze della popolazione perorerà direttamente il ritorno dei Francescani presentando unitamente alla domanda una perizia redatta dal sig. Domenico Foresti sullo stato della struttura nel 1841, ma l’istanza sarà respinta. Solo opere di essenzialissima manutenzione, curate dal custode sacrista Andrea Bertoglio interesseranno il tempio che sarà arricchito di varie suppellettili. Il prevosto Bertuetti si interesserà al ripristino, per la Basilica gardonese, dell’indulgenza del Perdon D’Assisi cessata con la partenza dei frati. L’intento sarà realizzato dal successore Andrea Bettoni. Il convento verrà venduto dal Comune verso la fine del secolo per la somma di 10.000 lire ad un gruppo di famiglie e solo la chiesa resterà di proprietà dell’ente. Negli stessi anni il primo chiostro, il più piccolo, sarà aperto per lasciar posto alla strada consorziale. Nel 1920, dopo esser stato utilizzato negli anni della guerra come deposito militare, per iniziativa della famiglia Moretti l’ex complesso monastico, vedrà un restauro completo degli affreschi affidato a Vittorio Trainini e la riapertura al pubblico del tempio. Nuovi restauri nel 1952 per opera del Pescatori su committenza di Pietro Beretta. Seguirà un nuovo intervento, sia alle strutture sia al patrimonio pittorico nei primi anni settanta del novecento per volontà di mons. Giuseppe Borra che doterà inoltre la chiesa di un pregevole organo elettronico (ditta Lorenzon da Oriago) offerto in parte dai commercianti gardonesi.
Il portico quadrilatero del chiostro maggiore si svolge su due piani: quello inferiore comporta una teoria di pilastri ottagonali in cotto, poggianti su un basamento continuo. Il piano superiore è caratterizzato da un loggiato a pilastri quadrati sui quali poggiano archi ribassati. La quattrocentesca facciata è preceduta da un portico d' epoca posteriore che forma un atrio piuttosto ampio davanti all’ingresso della basilica. Appena sotto il tetto, in legno e cotto, di questo atrio si possono osservare da sinistra nell’ordine le figure affrescate di S. Chiara, S. Bonaventura e quindi oltre il portale dei santi Luigi da Tolosa e Caterina. Notevole nel registro inferiore il frammento raffigurante cinque francescani, verosimilmente tanti erano i frati che componevano la prima comunità minorita presente a Gardone. Sopra il portale in pietra scura, s’innalza una lunetta recante all’interno il monogramma di Bernardino da Siena, raffigurato in uno dei due tondi che affiancano la lunetta medesima ( nel secondo si riconosce S. Antonio da Padova) è notevole il gran Crocifisso cinquecentesco esposto nell’omonima cappella.
L’interno si compone di un’unica larga navata che si apre sulla sinistra in tre cappelle poligonali con volte profilate ad ombrello. La copertura attuale della navata ripropone l’originale struttura a capanna, con volta a botte, archi a sesto acuto e tetto a vista. Passando all’abside ed al presbiterio è da notare che l’affresco che occupa la lunetta centrale presenta una Madonna con il Bambino affiancata da tre coppie di angeli. La composizione è datata 1502 e stimata di scuola foppesca. L’immagine della Vergine, sovrastata da una vela nella quale compare il Padre Eterno, è affiancata da quelle di Bonaventura e Ludovico da Tolosa. Fra gli altri affreschi dell’abside è particolarmente interessante un Ecce Homo attribuito a Paolo di Cailina il Giovane. Volgendo poi le spalle al presbiterio e scendendone i gradini si veda sulla sinistra l’affresco d’angolo: una sacra conversazione che presenta accanto alla Vergine con il Bambino, seduta in trono, i santi Lorenzo e Francesco D’Assisi, dipinto datato 1506. Seguendo la parete sinistra della navata, si nota in particolare all' altezza probabilmente raggiunta dal pulpito che vi era anticamente collocato, un S. Bernardino benedicente. Tra gli altri dipinti a fresco che ornano la chiesa si osservino in particolare nella prima cappella che sta a sinistra di chi entra nella chiesa la Stigmatizzazione di S. Francesco, nella seconda una Natività datata 1514 e una Flagellazione, nella terza un trittico nel quale sono ben riconoscibili i santi Antonio abate e Antonio da Padova. Nella basilica di S. Maria degli Angeli, prima della spoliazione napoleonica, esistevano due grandiose opere del Moretto: il Polittico detto dell’Assunta e una grande pala con la Vergine ed il Bambino venerati da santi, opere eseguite dal maestro tra il 1530 ed il 1540 circa. Del polittico smembrato tra il Louvre e la Pinacoteca di Brera in Milano, oggi si possono ammirare nella chiesa le lastre fotografiche nella cornice originale. Un altro polittico commissionato dai francescani di Gardone e raffigurante la vita di Gesù e di S. Pietro – al quale era anticamente dedicato uno degli altari della Basilica – è ora ospitato in parte nella pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. Recenti studi vi vogliono riconoscere lo stile di Paolo da Cailina. Fra le tele ancora presenti nel tempio si possono segnalare la pala della controfacciata stimata di scuola gandiniana e raffigurante la Madonna con il Bambino e santi ed una Crocifissione di Bernardo Podavini (1774), mentre fra le sculture è notevole il gran Crocifisso cinquecentesco esposto nell’omonima cappella.