Rinascite e crisi economiche

Economia Gardonese

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Descrizione

Questi anni rappresentano un periodo vitale per l’economia gardonese dato che la richiesta di armi, in seguito alle contingenze nazionali, si fa sempre più pressante. Il Senato veneto ha deciso d’accettare la sfida turca per il controllo delle acque dell’Adriatico e dell’Egeo.

La produzione di canne diviene alacre e tra il 1570 ed il 1573 Gardone, dove si lavora nelle fucine giorno e notte, quotidianamente produce ben trecento canne d’archibugio. I produttori locali approfittando della situazione vendono le loro canne anche fuori il domino veneto (Milano, Roma, Spagna) con ben più alte remunerazioni: la Serenissima interviene prontamente nel tentativo di frenare l’illegale commercio. Nella Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, combatterà anche il caporale gardonese Graziadio Franzini ed al comando del capitano Camillo Brunelli figureranno numerosi altri trumplini. La vittoria delle truppe e della flotta venete sarà ricordata nella nuova edizione degli Statuti di Valtrompia (1576) dove si stabilirà che il 7 Ottobre (Santa Giustina) debba considerarsi in perpetuo giorno festivo. Gli anabattisti continuano a costituire una notevole preoccupazione per l’autorità ecclesiastica, ma la loro esperienza va avvicinandosi alla conclusione che verrà decretata dalla visita apostolica di Carlo Borromeo nel 1580. Vincenzo Antonini, convisitatore, giungerà a Gardone in aprile trovandovi una situazione pesantemente legata al movimento ereticale. Numerose saranno le denunce raccolte nei confronti degli eretici alcuni dei quali sono già fuggiti in Valtellina (Girolamo Aiardi, Antonio Beretta ed altri); nel paese è praticata l’usura anche dalle Confraternite laicali, la scuola di dottrina si tiene saltuariamente, il Rettore di San Marco non ha licenza per la cura d’anime ed i luoghi destinati al culto ed alla preghiera sono poco rispettati.

Vengono dettate le prime disposizioni e s’inizia l’iter previsto contro gli eretici. S. Carlo giunge a Gardone il 18 agosto e trova un paese ostile; se ne allontana dopo tre giorni e vi ritorna alla fine di ottobre quando i provvedimenti canonici ed il timore di nuove denunce rendono maggior osservanza alla cortesia e all’ospitalità. I processi intentati ai gardonesi si risolveranno, mediatrice Venezia, con lievi condanne. Passati i tempi della Guerra di Cipro e della Battaglia di Lepanto, durante la quale,il tiro dei micidiali archibugi gardonesi e sei navi della flotta veneta armate di potenti bombarde prodotte a Gardone hanno decisamente contribuito alla vittoria ed all’annientamento di una flotta molto più esperta ed agile nelle manovre, il commercio armiero si mantiene per qualche anno ancora in auge. La produzione dei maestri di canne che però, secondo i dettami di Venezia, era strettamente e rigidamente ereditaria, si vede affiancare l’opera di mercanti il cui intento è solo quello d’accaparrarsi prodotti e manodopera a basso costo anche in opposizione alle antiche e consolidate distinzioni tra maestro-padrone ed operaio produttore. Gli ultimi decenni del secolo vedono un declino della produzione cui non è estranea la politica della Serenissima costretta, per proprie necessità, a ricorrere a tassazioni straordinarie ed a provvedimenti restrittivi che si riflettono pesantemente e negativamente sull’economia della Valle. Per evitare nuove fughe produttive verso altri stati il Senato dispone un prestito di 30.000 ducati, vietando però l’esportazione del ferro da armatura e delle canne non incassate (decisione drammatica dato che all’estero erano ricercate le famose canne gardonesi e non certo le incassature in legno, disdegnate da molti acquirenti).

In cerca di possibili ripieghi e soluzioni ad una situazione sempre più grave, Venezia istituisce a Gardone un Fondaco (1601) concedendo il prestito governativo direttamente ai maestri, che eleggono alla gestione del fondaco Bartolomeo Lorando. Quest’ultimo, con le disponibilità governative, acquista il materiale grezzo necessario alla fabbricazione delle canne. E poi lo distribuisce ai maestri dell’arte. Non vengono richiesti pagamenti per il materiale ceduto, ma, al contrario, si aprono larghi crediti. Gli armaioli, ultimata la loro opera, la devono consegnare finita al fondaco. La procedura presenta alcuni vantaggi: si ottiene di calmierare la produzione ed, attraverso una corretta distribuzione della materia prima, viene offerta agli artigiani un’ equa possibilità di lavoro. Ma esistono anche svantaggi. Appena, infatti,il fondaco è saturo e rifornito oltre ogni limite di capienza, eccedendo alle richieste della Repubblica, le possibilità di lavoro sfumano non essendo ammessa un’ occasione di trattativa privata per la commercializzazione del prodotto. A questi elementi, non di scarso valore, si aggiunge una scorretta gestione del fondaco da parte del Lorando che approfitta della situazione per pagare le maestranze non in moneta contante, ma con merce sopravvalutata rispetto ai prezzi correnti. Di fronte ad una tale situazione molti maestri, che non rientravano nelle "grazie" del Lorando si videro costretti ad esercitare rischiosamente il contrabbando mentre altri per sopravvivere, nonostante la sorveglianza veneta, si allontanarono dal paese prendendo la via dell’esilio ed altri infine abbandonarono la loro arte dedicandosi ad attività diverse.

Nel 1626 il Da Lezze, capitano di Brescia, fa presente al Doge che i pochi artigiani rimasti sono costretti a vivere in grande miseria e che la crisi si riflette anche sulle attività delle miniere che riesce però a mantenersi in discrete condizioni. In questi anni gli aspri contrasti tra produttori e mercanti, sfociano spesso nelle vie di Gardone, diviso fra la fazione dei Rampinelli e quella dei Ferraglio (sostenuta dai Chinelli), in aspre, violente e sanguinarie contese. Nel 1629-1631, la situazione è aggravata ulteriormente dalla carestia e da una lunga e grave pestilenza che mette a dura prova i bilanci dei comuni e falcia le popolazioni della Valle privando Gardone di un terzo della sua popolazione. Già nel 1632 inizierà la ripresa favorita da un accordo politico dei veneziani che permetteranno il ritorno in paese dei colpiti da bando per fronteggiare i tremendi effetti della pestilenza che ha colpito anche l’alta Valle e le miniere (basti ricordare il caso di Bovegno che nel 1626 vantava 2600 abitanti e nel 1640 lo vedeva ridotto a 900). A Gardone per produrre armi si doveva ricorrere, ad indubbio scapito della qualità, a rottami ferrosi importati da altre terre. Nel 1634 riprende a funzionare il Fondaco e grossi ordinativi di armi da parte della Serenissima miglioreranno decisamente la situazione produttiva. Il fondaco tornerà però a chiudere nel 1640. In paese riprendono le lotte interne con nuove sparatorie e nuovi omicidi. La situazione peggiora con il ritorno dal bando di Pietro Franzini che si farà parte attiva di molti scontri sanguinosi.

Le inchieste giudiziarie non sanno risolvere le situazioni e scovare i colpevoli ed alla Serenissima non resta che presentare a tutti i ricercati ed ai sospetti una drastica soluzione: il perdono giudiziario in cambio dell’arruolamento nell’esercito veneto per la guerra contro i turchi. La proposta è subito accolta e vengono in breve tempo formate due compagnie di "banditi" gardonesi: la Ferraglia e la Rampinella che per circa vent’anni sapranno far risaltare il loro valore agli ordini della Serenissima e contro gli eserciti della Mezzaluna. Nel 1686, l’8 dicembre, la parrocchia di Gardone è eretta in prepositura e primo prevosto è Francesco Martinelli. Il secolo diciottesimo inizia, per l’economia gardonese, in modo sicuramente non positivo: nuove proibizioni all’esportazione limitano la produzione a pochi ma continui ordinativi e l’obbligo del possesso di una regolare licenza per le armi da caccia non ne facilita la diffusione. I decenni seguenti vedono la chiusura di molte fucine e di molti scavi minerari condizioni che contribuiscono inevitabilmente allo scadere della qualità produttiva delle armi che lascia grandi spazi alla concorrenza tosco-emiliana prima, ed a quelle marchigiane e napoletane poi. Si creano in questa metà del secolo le tristi condizioni che porteranno ad un progressivo asservimento delle maestranze da parte dei padroni-commercianti che ormai stipuleranno direttamente con i richiedenti, i contratti di fornitura. A queste infelici condizioni si accompagna nel 1676 una tragica alluvione che distrugge buona parte delle fucine e delle strutture operative annesse. E’ il crollo dell’industria gardonese ed il Governo veneto, per salvare il poco salvabile, concede un prestito di 6000 ducati da ripartirsi fra i maestri di canne nella proporzione normalmente osservata per la divisione del lavoro.

Il denaro dovrà essere restituito in partite di canne senza alcun interesse. I gardonesi, duri e forti come il ferro che quotidianamente lavorano riescono a affrontare con successo anche questo triste frangente ed a superare faticosamente la dura prova facendo nuovamente risorgere quella produzione che è per tutti i gardonesi ragione di vita. Il fine secolo si presenta abbastanza tranquillo nei suoi aspetti economici, favorito dalle nuove operazioni belliche intraprese dalla Serenissima, mentre un po’ meno tranquilla è la convivenza all’interno della comunità gardonese sempre turbata da violenze fazionarie che lasciano nelle strade alcune illustri vittime. Ancora una volta Venezia offre ospitalità nelle file dei suoi eserciti ai più facinorosi ed è del 1697 una comunicazione inviata al Senato veneto dal Consiglio Generale di Valtrompia con la quale si informano i Rettori che numerosi gardonesi hanno chiesto di poter prendere parte alla guerra in Morea. I primi decenni del Settecento vedranno i gardonesi ed altri trumplini marciare su Brescia in occasione di una gravissima carestia. Un notevole aiuto ai bisognosi sarà offerto in questi anni dalle Confraternite laicali e dalle associazioni di beneficenza, come è testimoniato in una relazione del prevosto della parrocchia gardonese di S Marco, Gian Antonio Baldassare Cattaneo. Purtroppo dopo la conclusione della estenuante serie di guerre contro i turchi, Venezia, che si ritrova gli arsenali pieni di armi, sospende la fabbricazione dei pezzi da guerra affidando la sopravvivenza dei gardonesi alle solo armi da caccia che non garantiscono molto. Ricominciano le emigrazioni.

Delle 29 fucine in attività nel 1715, nel 1724 solo 12 traggono forza dalle acque del Mella e solo 3 o 4 fuochi funzionano con regolarità. Nel 1730 il capitano veneto Pietro Vendramin, in un dispaccio al Senato, sostiene che i gardonesi non hanno più garantito nemmeno il misero pane quotidiano. Una nuova alluvione del Mella nel 1738 arreca danni gravissimi agli impianti produttivi gardonesi. Con sforzi immani si rimettono in sesto le fucine, i ponti, le travate, i carbonili ed un paio d’anni dopo nuovi ordinativi (12.000 fucili e 6.000 pistole per il regno di Napoli) possono essere evasi a pieno ritmo di produzione. Si accolgono anche le richieste di Genova per una grossa partita di fucili ed un gruppo di maestri gardonesi è convocato a Venezia per riparare le armi in deposito. Il guadagno di questa notevole massa di lavoro non cade però su tutta la stratificazione sociale del paese; l’antico contrasto tra mercanti e maestranza si aggrava sempre di più. I primi vogliono rendersi padroni assoluti e controllare ogni produzione inserendo nelle fraglie gente non esperta che, in quanto incapace, è in loro piena balia. Così operando non è più garantita la qualità del prodotto anche se i vantaggi per i mercanti sono economicamente sensibilissimi. Girolamo Grimani, Segretario di Stato alla Guerra, evidenzia come a danno delle maestranze si impieghino villici e coloni oziosi nella stagion d’inverno. Nel 1757, per le riserve dell’Arsenale di Venezia, vengono ordinati 18.000 nuovi fucili la cui consegna sarà scandita mensilmente con regolarità fino al 1765. Questo sarà l’ultimo consistente ordinativo statale alla industria gardonese. Gli artefici gardonesi sono ormai asserviti senza scampo agli interessi dei pochi commercianti che hanno saputo monopolizzare la produzione.

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Pagina aggiornata il 09/05/2024