Il Dominio Veneto

A quello dei Visconti seguirà il dominio della Serenissima (1426-1797) che sarà accolto con largo favore dai trumplini ed in particolare dai Gardonesi.

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Descrizione

I valligiani sono stati tra i primi a dichiararsi a favore ella Repubblica e molto hanno contribuito al successo delle armi di San Marco quando si è trattato di infliggere il colpo definitivo al domino dei Visconti mal tollerato in tutta la Valle.

Concluse le vicende belliche, Venezia, si dimostra immediatamente benevola verso i suoi sostenitori concedendo loro larghe esenzioni fiscali ed ampi privilegi riguardanti il traffico del vino, dell’olio, delle biade e delle ferrarezze. Speciali disposizioni proteggono il lavoro degli archibusari e queste provvidenze del governo veneto vengono graditissime ai gardonesi. Per onorare S. Marco, patrono della Repubblica, secondo la tradizione, pare che i gardonesi avrebbero dedicato all’evangelista la loro chiesa orientata, in quel tempo, in modo diverso dall’attuale, ma edificata su un’area assai prossima a quella occupata dall’odierna prepositurale. Durante la lunga dominazione veneta, Gardone diventa il centro al quale naturalmente si riferisce la produzione delle armi richieste dalla Serenissima che da esse trae una fonte di ricchezza e di inimmaginabile potere politico e strategico. L’importanza cui, nel volgere di pochi decenni, assurge il paese è dimostrata anche dall’intensa attività dei notai del luogo, documentata dal 1490. Il governo veneto è evidentemente interessato a favorire la produzione armiera per suo uso e consumo, ma se da un canto non sempre i frangenti politici richiedono una larga quantità di prodotto, dall’altro la Repubblica non può permettere che le armi eccedenti il suo fabbisogno prendano indiscriminatamente la via dell’estero.

Non raramente il Senato deve dunque trovare una conciliazione tra gli interessi politici dello Stato e quelli dei gardonesi, che, ben consci della qualità delle loro canne, sanno far la voce grossa quando necessita o più spesso riescono a sfuggire beffardamente ad ogni rigorosa legge governativa. Il contrasto di interessi tra la Repubblica ed i produttori di armi provocherà, tra le altre cose, ripetute emigrazioni di maestranza, cui la Serenissima cercherà in ogni modo di porre freno e rimedio. Un primo accenno a tale fenomeno si ha già in un dispaccio, spedito dai Rettori bresciani al Consiglio dei Dieci in data 3 aprile 1505. Nella lettera si riferisce a Venezia che alcuni maestri d’archibugi, schioppetti e ballotte, sono usciti dai confini dello Stato spingendosi sino a Domodossola, terra soggetta alla giurisdizione dei conti Borromeo. Il documento pubblicato da Marco Morin, riveste notevole importanza in quanto costituisce l’atto più antico certificante esplicitamente la predilezione gardonese nella produzione di armi. Uno sguardo, anche molto fuggevole e parziale, alle licenze di esportazione concesse dai Rettori veneti ai maestri di canne bresciani, informa che intorno alla metà del Cinquecento il prodotto gardonese è richiesto oltre che in tutti i principati della penisola anche sui principali mercati europei. Fra i più importanti acquirenti si annoverano l’imperatore Carlo V, i re di Francia e d’Inghilterra ed i Cavalieri di Malta.

Gli archibugi ed i moschetti figurano tra le armi più vendute ma non mancano anche ordini per corsaletti, celate e ferri da pica. Negli atti degli archivi ricorrono con insistenza i nomi delle più antiche famiglie gardonesi che, mentre si creano una propria fortuna, contribuiscono al miglioramento generale dell’economia del paese. Sono cognomi notissimi agli studiosi delle armi antiche: gli Acquisti, i Belli, i Chinelli, i Cominazzi, i Daffini, i Franzini, i Garbelli, i Manenti, i Moretti, i Mutti, i Piccinardi, i Rampinelli, i Savoldi, i Timpini e gli Zambonardi per non parlare dei Beretta, titolari di un’azienda sin dal Cinquecento. In una relazione spedita al Senato Veneto il 20 settembre 1553, il podestà di Brescia scrive che a Gardone tutti gli uomini girano armati d’archibuso e perfino le donne ne portano uno in mano e uno alla cintola. Ciò non significa che la popolazione sia sempre e soltanto occupata intorno al ferro e al fuoco delle sue fucine. Una voce non irrilevante dell’economia gardonese del tempo, è data dallo sfruttamento delle zone boschive e da pascolo: la tutela di questo patrimonio è cura gelosa del comune e dei privati. A delineare poi, anche se in modo sommario la realtà socioculturale del paese nel secolo XVI si aggiunga che Gardone è probabilmente l’unico comune valtrumplino che mantiene un maestro di scuola; inoltre coloro che fabbricano le canne sanno quasi tutti leggere e scrivere.

E’ lecito vedere in questo impegno di alfabetizzazione, che peraltro non raggiunge tutti gli strati sociali, un intento anche utilitaristico in relazione diretta con gli interessi legati alla principale attività produttiva, ma considerati i tempi, non pare veramente poco. Anche nelle vicende politico- istituzionali Gardone è parte importante. Appartiene alla sua comunità uno dei due ufficiali che, secondo lo Statuto di Valtrompia, deve mantenere i rapporti con gli altri comuni e con il Consiglio di Valle. Il grande sviluppo economico ha rapidamente condotto il paese ad un notevole incremento demografico che fin dalla seconda metà del secolo XV si mantiene largamente superiore a quello del più antico centro d' Inzino. Questo sviluppo indurrà la popolazione a chiedere con insistenza la separazione dalla Pieve madre ed il raggiungimento dell’autonomia parrocchiale. Il dominio veneto fu dunque largo nella concessione di privilegi che però tentò in continuazione di togliere con qualsiasi pretesto. I valligiani non tardarono a comprendere la situazione ed a cogliere i vantaggi che derivavano da un modo di governare amministrativamente rigoroso, saldamente centralizzato nelle sue istituzioni di governo e che si accorda con un indirizzo politico che tutela le autonomie locali e sostiene le economie più povere nel rispetto delle varie esperienze delle province soggette; istanze e principi che troveranno la loro sintesi legislativa nella compilazione degli Statuti di Valtrompia la cui prima stesura risale al 1436.

Nel 1454 la Valtrompia otterrà l’autonomia e l’esonero dai dazi per una popolazione di circa 17 mila abitanti suddivisa in una trentina di abitati e 17 comuni in cui s’ergevano sette forni fusori ed una quarantina di fucine che lavoravano il ferro. Nel 1495, accampando diritti di parentela per il Ducato di Milano, il re di Francia Luigi XII scenderà in Italia, si alleerà con Venezia, solerte ad occupare Crema e Lodi, suscitando le preoccupazioni del Papa che indirà contro la Serenissima la Lega di Cambrai. Le truppe venete, fra le cui fila militavano centinaia di trumplini e di gardonesi, saranno sconfitte. Venezia sarà quindi ammessa nella Lega divenendo avversaria dei francesi che, entrati in Brescia nel 1509, si trovarono a combattere contro gli ex alleati. Sempre i francesi, costretti a ritirarsi nel Castello cittadino dalle truppe comandate dal bovegnese Negroboni, dopo aver ricevuto consistenti aiuti dall’arrivo di Gastone de Foix, divennero artefici di una strage crudelissima. Alla morte di Giulio II, Venezia si alleerà nuovamente con i francesi ed il suo domino sul Bresciano durerà senza interruzioni sino alla fine del secolo XVIII.

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Pagina aggiornata il 09/05/2024